intervista a Silvia Cosimini

L’Islanda, a quanto pare, continua ad affascinarci, viaggialettrici e viaggialettori. L’intervista alla traduttrice Silvia Cosimini su Instagram è stata davvero seguitissima e ancora tanti di voi mi scrivono con domande e curiosità, condividendo un profondo entusiasmo. Eccovi allora un’intervista scritta in pianta stabile sul blog, per approfondire meglio tutto.

Sono stata molto contenta quando Silvia Cosimini ha accettato di concedermi un’intervista in diretta Instagram qualche settimana fa. Essendo tutti confinati in casa per la quarantena da emergenza sanitaria l’incontro è stato naturalmente virtuale, ma nonostante tutto piacevolissimo, interessante e davvero molto partecipato. Silvia Cosimini è stata la prima studiosa che ho voluto ospitare su questo blog, avendo amato moltissimo i romanzi islandesi pubblicati da Iperborea ed essendo rimasta letteralmente fulminata dal fascino di quella terra nordica che ho visitato nell’ottobre 2017.  La mia curiosità e le domande per la traduttrice, critica letteraria e insegnante Silvia Cosimini si sono moltiplicate dopo il mio viaggio in Islanda. A Silvia Cosimini dobbiamo la splendida versione italiana di alcuni dei romanzi che più ho amato di Jón Kalman Stefánsson, come I pesci non hanno gambe e Paradiso e inferno.

In Islanda con Silvia Cosimini 

Come forse saprete ho da poco terminato la lettura della “Trilogia del ragazzo”, un’opera dell’ autore islandese di cui sopra, che comprende i romanzi Paradiso e inferno, La tristezza degli angeli e Il cuore dell’uomo. Ne sono rimasta stordita, incantata e sopraffatta. Impossibile non sommergere Silvia Cosimini di nuove domande, per saperne di più sulla lingua, la cultura e la tradizione islandese. Per approfondire qualche aneddoto che riguardi la traduzione di queste opere o per scoprire se ce ne sono altre in arrivo. Ho notato con grande piacere che condividevate con me parecchia di questa curiosità, dal momento che ancora ricevo feedback, domande e complimenti per quella diretta Instagram. Come come? Ve la siete persa? Niente paura. Ho intervistato (di nuovo) Silvia Cosimini per voi e vi lascio subito alle sue parole per scoprire questo mondo affascinante che è legato alla traduzione e all’Islanda, attraverso la preparazione, la competenza e la passione di una formidabile professionista.

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Intervista a Silvia Cosimini

Qual è il romanzo che hai amato di più della Trilogia del ragazzo di Jón Kalman Stefánsson e perché?

Il primo, di sicuro. Era il primo romanzo di questo autore con cui mi misuravo, benché non fosse il primo che leggevo. Erano anche due anni che cercavo di farlo pubblicare a Iperborea ma non ero ancora riuscita a far capire all’editore la magia che si nascondeva in una trama così scarna e poco d’effetto, quindi credo di averci messo dentro tutta l’intensità possibile e di avere amato e soppesato ogni singola parola. Mi è piaciuto subito per la maniera in cui il romanzo è concepito, come un racconto affidato ai lettori perché non venga relegato all’oblio, e per come è destrutturata la costruzione narrativa classica: l’autore inserisce un climax molto presto, ma poi c’è un secondo climax in cui si riflette l’intero intento del libro, quando il ragazzo ripercorre che cosa è successo al suo amico e lo racconta alle due donne della locanda (non si può spoilerare, vero?). Ma anche per la galleria dei personaggi del paese, che mi sembrava di conoscere uno per uno… Un piccolo libro con tante meraviglie dentro, uno splendido modo per cominciare a far conoscere questo autore in Italia.

La prosa poetica dell’autore è molto intensa e islandese e italiano sono due lingue estremamente diverse. Ci sono stati passaggi, o modi di esprimersi dei personaggi, o registri linguistici particolarmente complicati da tradurre?

Ricordo con ORRORE la quantità di nomi per la neve contenuti in Harmur englanna (La tristezza degli angeli). Sembra una banalità dire che gli islandesi hanno tanti sostantivi per la neve, ma è proprio così, la chiamano in maniera diversa secondo la quantità di acqua che contiene, come cade, la forma che hanno i fiocchi, se c’è vento oppure no…. Un povero traduttore non ha altra soluzione che ricorrere alle perifrasi e sperare di non ripetersi troppo, visto che molti editori sostengono che l’italiano scritto mal sopporta le ripetizioni. Un’altra caratteristica tipica di Stefánsson è l’uso del termine ákafi, che significa (da dizionario) slancio, entusiasmo, fervore, ardore, accanimento, veemenza, impegno, zelo. Nessun altro dei miei autori lo utilizza così spesso, dev’essere una delle sue parole preferite perché la declina anche nella variante astratta ákefð, e come aggettivo (ákafur): termine sfuggente, che ancora mi costringe a scervellarmi ogni volta per decidere la traduzione più adeguata al contesto.

Stai lavorando a nuove traduzioni di opere di questo autore?

Sì! Jón Kalman Stefánsson non ha pubblicato ancora nessun altro romanzo dopo Saga Ástu (Storia di Ásta), che è uscito nel 2017, quindi l’editore italiano ha voluto esplorare i titoli precedenti a Sumarljós (Luce d’estate) e mi ha proposto di tradurre un romanzo del 2003; ha un titolo dal suono favoloso, Snarkið í stjörnunum, significa “il crepitio delle stelle”. Nella parola snarkið, come in ‘crepitio’, ci sento uno schiocco improvviso e leggero, quello dei ramoscelli di legno secchi che bruciano nel caminetto; è un titolo bellissimo e mi pare un motivo sufficiente per voler tradurre questo libro, no? Poi sono in cantiere anche le sue poesie, ma non rivelo altro.

Da dove nasce la tua passione per l’Islanda?

Ho conosciuto la letteratura islandese (quella antica, però) all’università, durante un corso di Filologia Germanica, ormai ben trent’anni orsono. Mi sono appassionata alle saghe e a una produzione letteraria che non conoscevo affatto e che mi sembrò straordinaria, per contenuti e stile. Da lì è stato un percorso seguìto un po’ per caso e un po’ per istinto, non studiato a tavolino: volevo fare la filologa e sono andata in Islanda per approfondire il norreno, poi mi sono accorta che avrei dovuto studiare l’islandese moderno; ho letto tanti autori contemporanei e ho cominciato a proporli in Italia, mentre abbandonavo l’idea del dottorato e decidevo di perfezionare il mestiere della traduzione, finché non è venuto il momento di mollare il lavoro fisso e dedicarmi solo a tradurre. Non so se posso definire “passione” il mio rapporto di convivenza con un paese che almeno all’epoca – parlo di più di venticinque anni fa – non era affatto facile. Diciamo che è un rapporto di coppia profondo, tra due che conoscono bene pregi e difetti di entrambi.

C’è un romanzo che più di tutti hai amato tradurre? Se sì qual è e perché?

Uh, come chiedere quale figlio si ama di più… un tempo gli islandesi non avevano nessuna difficoltà ad ammettere di avere un figlio preferito, ma io sì, e se proprio devo segnalarne uno allora direi la Laxdæla saga, probabilmente perché in effetti il mio primo approccio con l’islandese è avvenuto per il tramite di una saga e le mie prime riflessioni sulla traduzione sono germogliate su questo tipo di linguaggio. Le saghe, almeno quelle più riuscite, sono testi straordinari – lunghi e prolissi eppure essenziali, laconici e incisivi, dove con l’ellissi si dice più che in tanti scambi più espliciti. Cercare di mantenere un equilibrio tra il detto e il non detto anche in italiano è una sfida estremamente stimolante. E così non ho fatto un torto a nessuno!

intervista a Silvia Cosimini

Hai vissuto e studiato in Islanda per diversi anni. C’è un posto, in quella terra così estrema e sorprendente, in cui faresti sempre ritorno? Perché?

I Fiordi Occidentali, di sicuro. Per le microscopiche comunità costiere con monti drammatici alle spalle, la brughiera spazzata dal vento, le stradine tortuose che sembrano non portare mai alla meta, i fiordi verdeazzurri e la sabbia rossa che a volte ti fanno dimenticare dove ti trovi, le volpi artiche… devo continuare? Questa zona di solito tagliata fuori dagli itinerari del turismo classico è capace di proiettarti nei ritmi, nelle modalità arcaiche di un’Islanda che non esiste quasi più. Mi pregusto già un periodo di lavoro intensivo a Ísafjörður nel prossimo futuro… Speriamo.

Qual è la tua parola o espressione preferita in islandese e perché?

Ce ne sono molte, a partire da quelle intraducibili, soprattutto nella sfera emotiva: söknuður (sost. masch.), il senso di perdita e di lutto di chi patisce la mancanza di qualcuno; tilhlökkun (sost. fem.), “attesa spasmodica, aspettativa”, ovvero il sostantivo per “non vedere l’ora di…”. Stupendo anche frekjuskarð (sost. neut.), lo spazio che alcuni hanno tra gli incisivi superiori e che letteralmente si traduce con ‘tacca sfrontata’. O ætli það ekki, una frase per me ancora grammaticalmente criptica, rendibile più o meno con “suppongo di sì”, “penso di sì”, nonostante contenga la negazione (ekki).

Che rapporto si crea con gli autori delle opere che traduci?

Bellissimo, quasi sempre. Gli islandesi sono solitamente molto grati ai traduttori, ovvero a chi si prende la briga di studiare la loro lingua e di comunicare al resto del mondo una cultura altrimenti inaccessibile, quindi sanno farti sentire fondamentale per il loro successo all’estero, e questa è sempre una cosa molto gratificante. Con ogni autore cerco sempre di costruire un rapporto personale, che vada al di là del rispondere a eventuali mie domande e a chiarire punti oscuri del testo che sto traducendo. Nella mia cricca di amici islandesi figurano diversi scrittori e ho tanti ricordi splendidi, dalle grigliate a casa di Hallgrímur Helgason alle gite fuori porta con Thor Viljhálmsson, alle serate a salame e grana padano da me a Reykjavík. Ed2020 è sempre una festa quando un autore islandese viene in Italia per un festival letterario o un incontro in libreria.

Non posso che ringraziare di cuore Silvia Cosimini e sperare che non mi blocchi su tutti i canale di comunicazione perché continuo a importunarla con proposte di iniziative che prevedono per lei mari di domande. Sto scrivendo la recensione della Trilogia del ragazzo, ma  se nel frattempo volete approfondire la conoscenza di Jón Kalman Stefánsson trovate sul blog la recensione di I pesci non hanno gambe.

Se invece volete farvi un giretto in Islanda non perdetevi alcuni racconti del mio viaggio come Il canto del ghiaccio oppure Il Þórbergur Centre in Islanda: il museo letterario a forma di libreria. 

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