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I pesci non hanno gambe è un libro di Jón Kalman Stefánsson, che ho avuto il piacere di leggere grazie alla gentile collaborazione con la casa editrice che lo ha pubblicato in Italia: Iperborea. È un libro che racconta una storia, l’Islanda, la vita. E proprio di ritorno dal mio viaggio in quella che è chiamata la terra del ghiaccio e del fuoco ho iniziato la lettura di questo capolavoro, che se volete vi racconto in questa recensione. Cari viaggialettori: I pesci non hanno gambe.
I pesci non hanno gambe è uscito per la prima volta in Italia nel 2015. Lavorando in una libreria a quel tempo, per molti mesi ho ascoltato lettori entusiasti riguardo questo libro. Per non parlare della libraia Valentina, da sempre innamorata di Stefánsson. Ma i libri, si sa, si fanno trovare sempre al momento giusto. E probabilmente, quello non era il momento giusto per me.
Come forse saprete, lo scorso ottobre sono partita per il mio primo viaggio in Islanda. È stato un viaggio pazzesco, che mi ha disordinato la vita, sconvolgendo le mie paure più recondite e le mie certezze più salde. Il ghiaccio è passato attraverso le fessure degli occhi e ha bruciato qualcosa dalle parti del cuore. A distanza di mesi, mi sento ancora come se qualcosa fosse rimasto in sospeso dentro di me, qualcosa di tremulo e potente, come le aurore boreali che danzano e si confondono con i sogni della gente nei cieli bui e tranquilli sopra Stöðvarfjörður.
Di ritorno dal mio viaggio ho trovato a casa il pacco spedito da Iperborea. Conteneva I pesci non hanno gambe.
Neanche qualche pagina per incontrare già le prime parole che mi hanno fatto sentire una scossa lungo tutta la colonna vertebrale: “A Keflavík ci sono tre punti cardinali; il vento, il mare e l’eterno.”
Se ci sei stato sai che è vero.
E io sapevo anche che non ero ancora pronta a leggere. Non ero pronta a tornare, perché di quello si trattava: tornare in Islanda, pur non muovendo un passo.
“Il vento incessante sembrava poter soffiare da due direzioni contemporaneamente, la salsedine e la sabbia ci frustavano a turno, il cielo era così distante che le nostre preghiere non arrivavano che a metà strada, per poi cadere a terra come uccelli morti o trasformarsi in grandine, e l’acqua potabile era salata come se stessimo bevendo l’oceano. Questo posto non è vivibile, tutto lo sconsiglia, il buonsenso, il vento, la lava. Eppure ci abbiamo abitato per tutti questi anni, per tutti questi secoli, ostinati come la lava, silenziosi nella storia come il muschio che cresce sulla roccia e la trasforma in terra, qualcuno dovrebbe farci un monumento, darci una medaglia, scrivere un libro su di noi.
Noi chi?”
Ho dovuto aspettare qualche giorno. Poi ho fatto un profondo respiro, e mi sono immersa nella lettura. I pesci non hanno gambe è un’opera meravigliosa, un romanzo corale che ci racconta la storia di una famiglia, la vita degli uomini, la natura estrema, brutale e meravigliosamente perfetta di una terra pazzesca.
Ari, poeta e editore di successo fuggito via lontano, deve affrontare un ritorno che lo trascinerà di nuovo indietro nel suo paese, nella sua famiglia, a fronteggiare i suoi errori e i suoi rimorsi. Un uomo che vive di parole, eppure muore di incomunicabilità: impossibile il dialogo con suo padre, impensabile il chiarimento con sua moglie. Insopportabile l’immobilità del silenzio che opprime il cuore.
I pesci non hanno gambe ci racconta la storia di Ari, ma anche e soprattutto quella dei suoi antenati, una storia incagliata tra le reti dei pescatori e gli anni che non tornano più; ci racconta del passato e del presente di una nazione, l’Islanda, che ha una storia a tratti buia come le sue notti d’inverno, quando per mesi, in quelle terre del nord, la luce del sole è fioca e lontana, come un ricordo, una speranza flebile. I pesci non hanno gambe ci racconta del fragile equilibrio tra la paura e la pazzia, tra la solitudine e l’amore, tra l’attacco e la difesa; ci racconta di donne, madri, figlie, mogli, sognatrici, e anche di uomini, padri, figli, nonni, pescatori; ci racconta di fiordi, di mare, di quote ittiche; di disoccupazione, di isolamento, di coraggio e di violenza.
“Chi non prova nessun dolore o emozione di fronte all’esistenza ha il cuore freddo e non ha mai vissuto- devi essere riconoscente per le tue lacrime.”
In ogni singola pagina, in tutte le parole scelte per comporre le frasi, nessuna esclusa, si può percepire l’Islanda. Quell’ energia, non saprei spiegare altrimenti, quello strano contatto che instaura con te, che ti entra dentro chissà come quando sei lì, dagli occhi, davvero, o forse dal naso, quando respiri nel ghiaccio. Quel dolore lancinante, quando sei al cospetto dei ghiacciai, e intorno a te nessuno; quando sei sull’orlo di un baratro che fa rabbrividire, lo scroscio reboante della cascata che ti impedisce di pensare, e intorno a te nessuno; quando sei nel buio della notte più oscura che tu abbia mai visto nella tua vita e intorno a te nessuno; quel dolore, che è libero, senza freni né confini, senza niente che gli impedisca di fluire ovunque. Non ci sono città, strade, confortevoli punti di riferimento, folle, verità come quelle che conosci, non ci sono distrazioni, scuse o trucchetti. I tuoi mostri sono liberi, dentro e fuori di te, e tutto intorno non c’è nessuno. Sei un bersaglio. Sei al cospetto delle luci del nord e di te stesso. In ogni singola pagina di questo libro, proprio come in viaggio in quella terra estrema, puoi percepire il dolore, la bellezza, la poesia.
“Dentro di noi si annidano demoni, dentro il sangue caldo si nasconde una profonda malvagità, e solo la bellezza può salvare il mondo.”
I pesci non hanno gambe è un romanzo duro. Forse perché spinge sul fondo, dove nessuno vuole mai guardare. Tutti sappiamo cosa c’è sul fondo, ma perché andarci quando si può immaginare? Perché immaginare non è vedere con i propri occhi. Non è comprendere. Non è prendersi la responsabilità di mettersi in gioco.
Lo consiglio a chiunque abbia voglia di immergersi in un’atmosfera di reale contatto con questa terra. Se ci siete stati, ne riconoscerete il canto; se non ci siete stati ne avvertirete il richiamo.
Lo consiglio anche a chi ama le storie lente, piene, che si spostano attraverso gli anni e le generazioni.
Il finale di I pesci non hanno gambe è ruvido e amaro, arriva inaspettato e crudele come un pugno nello stomaco a tradimento. Questo libro lascia lievemente storditi, un po’ affaticati e profondamente commossi. Ma siamo dei viaggialettori fortunati, perché c’è un seguito: Grande come l’universo.
Impossibile pensare di non leggerlo, impossibile anche solo credere che la battaglia sia finita qui. I miei demoni interiori scalpitano in attesa di poter attaccare ancora: li sento di notte, non dormono mai; i ricordi del mio viaggio in Islanda si spostano ancora dentro di me, alla ricerca del punto esatto in cui aggrapparsi per sempre, quando diventeranno definitivamente parte della mia identità; i miei occhi, che hanno visto il buio, il ghiaccio, e l’aurora boreale, bramano ancora bellezza, sono stati stregati dall’Islanda. Sono certa che la ritroverò di nuovo nelle parole di Stefánsson, e non vedo l’ora. Sono pronta.
Voi avete letto I pesci non hanno gambe? Quali sono state le vostre impressioni ed emozioni a riguardo? Se vi va fatemelo sapere nei commenti. Invece se non lo avete letto e vi siete incuriositi potrete acquistarlo facilmente cliccando sull’immagine qui sotto:
L’Islanda è una terra pazzesca. Se volete viaggiare ancora con me ve la racconto qui: per altri suggerimenti di viaggi letterari non perdetevi Viaggio nella terra del ghiaccio e del fuoco con l’Atlante leggendario delle strade d’Islanda; se invece siete in vena di racconti più personali allora vi consiglio di leggere Il canto del ghiaccio: mostri, visioni e antiche profezie.